Sogni e motivazioni sull'emigrazione
09 febbraio 2007
Da qualche tempo constatiamo che la nostra consulenza viene richiesta sempre di più da persone che non vogliono fare semplicemente un'esperienza a tempo limitato all'estero. No, vogliono lasciare l'Italia per sempre. Vedono il proprio futuro lontano dalla patria, lasciandosi alle spalle situazioni del tipo: "sono stufo di essere preso in giro", "non sopporto più questi stipendi da fame e questa precarietà", "non mi fanno utilizzare le mie competenze e capacità", "non c'è vita di qualità", "non si può pensare di far crescere qui dei figli". Ecco solo alcune delle motivazione ascoltate.
Raramente qualcuno si fa avanti con idee positive da realizzare fuori dall'Italia. La cosa più importante sembra la spinta a scappare via da una situazione insoddisfacente. L'emigrazione viene spesso vista come il gesto magico col quale si raggiunge tutto quello che a casa non c'è: stipendi buoni, stima del proprio lavoro, ambiente pulito, traffico ordinato.
Muoversi, però, spinti da motivazioni "negative" è rischioso. La delusione è dietro l'angolo.
Appena mettiamo il naso fuori dai 15 paesi dell'Unioni Europea, incontriamo i vari "Bossi-Fini" stranieri. Ogni paese ha le sue misure di "autodifesa" per ostacolare l'arrivo degli stranieri. Il numero chiuso c'è dappertutto, anche nei nuovi 10 paesi dell'Unione, che per qualche anno ancora richiederanno un contratto di lavoro già firmato prima di alzare la sbarra di confine, come tra altro facciamo anche noi con loro.
I quattro paesi del "dream team", cioè Stati Uniti, Canada, Australia e Nuova Zelanda, attuano una rigida selezione basata su qualifica, esperienza lavorativa, età, lingua ed altro.
Sono veramente pochi i fortunati in grado di dimostrare di possedere tutti questi requisiti e possono, perciò, costruirsi una nuova vita oltreoceano.
Mete spesso richieste sono anche l'America Latina e i Caraibi, i quali, però, non hanno bisogno di lavoratori stranieri se non portano soldi da investire. È vero che in questi paesi ci sono parecchi italiani ma spesso con un visto turistico e di conseguenza illegale se lavorano. Rischiano di perdere lavoro, casa, famiglia e futuro se qualcosa va storto.
Per chi poi riesce ad emigrare la vita non è per niente facile. Fortunatamente non siamo più nei tempi del linciaggio degli italiani in Australia o in Louisiana (vedi L'orda di Gian Antonio Stella). Ma l'inserimento nella vita sociale locale rimane sempre difficile per chi è straniero. Lo stipendio è di solito più basso di quelli del posto, la casa probabilmente nei quartieri-ghetto con alta concentrazione di stranieri, in caso di crisi sono i primi a perdere il lavoro, la banca è restia a dare un credito o un mutuo. Addirittura l'assicurazione della macchina può costare di più perché il proprietario è straniero.
Tutte cose superabili, come hanno dimostrato in passato migliaia di italiani. Ma, senza avere una forte motivazione positiva per emigrare, si rischia di naufragare negli infiniti meandri sulla strada dell'integrazione e di tornare a casa disillusi, incassando una sconfitta bruciante.
Emigrare significa oggi avere un progetto chiaro da realizzare. Può essere la vita in mezzo alla natura, può essere l'utilizzo delle proprie capacità, può essere la costruzione di qualcosa che a casa è impossibile, può essere l'affinità culturale.
Solo così, guardandosi allo specchio, si trova conferma dell'idea di una vita nuova: "Faccio bene ad andarmene".
*Bernd Faas tiene la rubrica Il parere dell'esperto sul sito di Eurocultura, in cui tratta i temi della mobilità internazionale.
via: www.eurocultura.it
Raramente qualcuno si fa avanti con idee positive da realizzare fuori dall'Italia. La cosa più importante sembra la spinta a scappare via da una situazione insoddisfacente. L'emigrazione viene spesso vista come il gesto magico col quale si raggiunge tutto quello che a casa non c'è: stipendi buoni, stima del proprio lavoro, ambiente pulito, traffico ordinato.
Muoversi, però, spinti da motivazioni "negative" è rischioso. La delusione è dietro l'angolo.
Appena mettiamo il naso fuori dai 15 paesi dell'Unioni Europea, incontriamo i vari "Bossi-Fini" stranieri. Ogni paese ha le sue misure di "autodifesa" per ostacolare l'arrivo degli stranieri. Il numero chiuso c'è dappertutto, anche nei nuovi 10 paesi dell'Unione, che per qualche anno ancora richiederanno un contratto di lavoro già firmato prima di alzare la sbarra di confine, come tra altro facciamo anche noi con loro.
I quattro paesi del "dream team", cioè Stati Uniti, Canada, Australia e Nuova Zelanda, attuano una rigida selezione basata su qualifica, esperienza lavorativa, età, lingua ed altro.
Sono veramente pochi i fortunati in grado di dimostrare di possedere tutti questi requisiti e possono, perciò, costruirsi una nuova vita oltreoceano.
Mete spesso richieste sono anche l'America Latina e i Caraibi, i quali, però, non hanno bisogno di lavoratori stranieri se non portano soldi da investire. È vero che in questi paesi ci sono parecchi italiani ma spesso con un visto turistico e di conseguenza illegale se lavorano. Rischiano di perdere lavoro, casa, famiglia e futuro se qualcosa va storto.
Per chi poi riesce ad emigrare la vita non è per niente facile. Fortunatamente non siamo più nei tempi del linciaggio degli italiani in Australia o in Louisiana (vedi L'orda di Gian Antonio Stella). Ma l'inserimento nella vita sociale locale rimane sempre difficile per chi è straniero. Lo stipendio è di solito più basso di quelli del posto, la casa probabilmente nei quartieri-ghetto con alta concentrazione di stranieri, in caso di crisi sono i primi a perdere il lavoro, la banca è restia a dare un credito o un mutuo. Addirittura l'assicurazione della macchina può costare di più perché il proprietario è straniero.
Tutte cose superabili, come hanno dimostrato in passato migliaia di italiani. Ma, senza avere una forte motivazione positiva per emigrare, si rischia di naufragare negli infiniti meandri sulla strada dell'integrazione e di tornare a casa disillusi, incassando una sconfitta bruciante.
Emigrare significa oggi avere un progetto chiaro da realizzare. Può essere la vita in mezzo alla natura, può essere l'utilizzo delle proprie capacità, può essere la costruzione di qualcosa che a casa è impossibile, può essere l'affinità culturale.
Solo così, guardandosi allo specchio, si trova conferma dell'idea di una vita nuova: "Faccio bene ad andarmene".
*Bernd Faas tiene la rubrica Il parere dell'esperto sul sito di Eurocultura, in cui tratta i temi della mobilità internazionale.
via: www.eurocultura.it
Etichette: emigrazione, estero, europa, lavorare
2 Comments:
La ringrazio per Blog intiresny
commented by Anonimo, 06:28
imparato molto
commented by 06:51
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