La controinchiesta sull'11/9
21 maggio 2006

L'autore del documentario si chiama Dylan Avery. Nel 2002 aveva diciott'anni e stava lavorando, a New York, alla costruzione di un ristorante di proprietà dell'attore James Gandolfini, in Italia noto ai più come protagonista della serie Sopranos. Dylan aveva ambizioni cinematografiche e, chiesto qualche consiglio a Gandolfini, ne ricevette una risposta, appunto, da film: "Se vuoi essere un regista di successo, devi avere una storia da raccontare al mondo".
Si mise a lavorare al progetto. Le mille verità sull'11 settembre gli sembravano così incredibili che pensò di farne una storia di finzione, protagonisti lui e alcuni suoi amici a caccia - e alla scoperta - di prove che certificassero l'intervento del governo Usa nell'organizzazione degli attentati. Fantapolitica, fantastoria, fantaqualcosa insomma.
Ma andando avanti con le ricerche, Avery si rese conto che quelle ipotesi gli sembravano molto meno "fanta" di quanto pensasse. Decise per la svolta: non più fiction, ma racconto di "cose", di "fatti". Michael Moore docet. Prezioso contributo, quello dell'amico Korey Rowe, reduce dal fronte afgano prima, e iracheno poi, testimone oculare in grado di tradurre indizi in prove. Si aggiunse un terzo amico, pure lui ventenne, Jason Berman. Nacque anche l'etichetta di produzione, dal nome programmatico: "Louder than Words", più forte delle parole.
Un'ora di filmato che comincia con alcuni fatti sintomatici accaduti prima dell'11 settembre, poi estratti da filmati tv sull'attacco e l'intervista a Hunter S. Thompson, autore di un libro sulle stragi, morto suicida in circostanze oscure, le speculazioni a Wall Street e i dubbi sul Pentagono, il crollo delle Twin Towers e il "mistero" del volo 93 - quello dell'atto eroico dei passeggeri - le scatole nere sparite, le manipolazioni dei media, il video di Bin Laden "trovato" quando ormai gli americani aspettavano da troppo tempo le prove sugli attacchi promesse da George W. Bush, e non ancora arrivate.
Diffondere, si diceva, più che guadagnarci qualcosa. E infatti i tre ragazzi girano l'America e organizzano proiezioni pubbliche. Insomma continuano a conferire visibilità al "911 Truth Movement", vasta e trasversale organizzazione per la ricerca della verità sull'11 settembre - anche se non tutti i membri concordano con tutte le tesi esposte in Loose Change. Ma quel che interessa ai tre ragazzi è insinuare il dubbio, affinché gli americani rimettano in discussione l'idea che si sono fatti su quel giorno che ha cambiato il mondo.
fonte: www.repubblica.it
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